Archivio per jacopo

qui.accanto / 31

Mi alzo prima io, vado nel bagno e poi vestito lo sveglio, lo saluto, esco a fare colazione coi giornali. Così da sempre, dalla prima mattina. Questa mattina l’abitudine nel buio mi ha fatto fare piano. Ho imparato a scivolare via dalle coperte. Jacopo però non c’era. Ancora non era arrivato. La mia paura del vuoto non è da piccolo, è venuta con gli anni. Piango in tutti gli aerei, piango già in aereoporto, appena sono a terra è come non avessi mai volato, il passato ci mette un secondo a sparire. Adesso è arrivato, mi ha mandato un sms. Jacopo non ha paura sugli aerei, io questa mattina ero immobile per impedire al mio cervello di pensare a Jacopo sull’aereo. Come avevo cominciato a scivolare fuori dalle coperte sono rientrato a fare finta di dormire, facevo il gioco che ho sempre fatto di fingermi morto. Un sms è arrivato all’ora sbagliata. Non era Jacopo e non ho risposto, sono tornato a fare il morto. Poi è arrivato lo sms di Jacopo che era arrivato, sono andato a lavarmi e ho aperto le persiane e ho sperato che questa notte avesse fatto freddo, che le foglie si fossero almeno un poco arrossate invece è ancora estate, i ciliegi, forse, sono appena colorati, ma loro cominciano presto. Ho solo riso un pochino perché mi veniva da cantare -:odio, l’estate, che ha dato i suoi colori al nostro amore-.

qui accanto / 27

E’ molto difficile fare la spesa. Uno dei primi giorni quando ci siamo conosciuti aveva un piglio di chi è nel giusto e ha aperto il frigo è ha detto:-se non lo fai tu lo faccio io-, e ha ribadito: -non ha nessun senso-. Ha preso un sacchetto di plastica e uno per uno ha tirato fuori dal frigo i barattoli e diceva: -scaduto-, e lo faceva cadere nel sacchetto. Io vivevo solo da tanto. -la prima volta che sono venuto in casa pensavo stessi traslocando- mi ha detto una volta. Non era in disordine, io non sono disordinato, però se adesso guardo delle fotografie fatte in casa capisco, perché la casa era vuota, non avevo neanche i lampadari, ma delle lampadine che pendevano dal soffitto. Non mi piacevano i lampadari, adesso mi piacciono i lampadari. Cambiare sotto l’influsso della persona amata è una delle cose che mi sarebbero parse fra le più pericolose una volta e addesso mi sembra fra le più belle. Anche da piccolo, quando durante le elementari iniziai ad avere una camera tutta mia, spostavo sempre i mobili. Un giorno, poteva essere di giorno o di sera non importa quando la camera com’era non andava più bene giravo tutti i mobili. Per questo non ho mai comprato dei mobili pesanti. Tutti i mobili della casa dove abitavo quando ho conosciuto Jacopo li potevo spostare da solo. Per certi avevo degli stracci che mettevo sotto e poi li facevo scivolare, a certi mobili non li toglievo poi neanche così li potevo spostare. Mi chiedevano delle foto di moda che mi avrebbero pagato molto ma io non uso il cavalletto e i fari e i diffusori perché pesano, questo senso incerto che trovavano nelle mie fotografie era che sono pigro e odio le fatiche inutili, questo l’ho ereditato dai miei genitori, le fatiche inutili e i rumori inutili. Mangiavo soprattutto cibi bianchi, la pasta con l’olio e le belghe. Il riso non tanto perché i chicchi si incastrano nello scolapasta. Però il riso cotto nella sua acqua sì. Un giorno siamo andati a fare la spesa con Jacopo e siamo andati al mercato e siamo tornati con decine di borse piene di verdure che poi sono diventate cosa da mangiare. Abbiamo comprato dei formaggi stagionati e non solo freschi e bianchi. Anche la carne poi compravamo, io compravo solo il petto di pollo che facevo a pezzetti così non lo dovevo tagliare quando poi lo mangiavo. Anche i Danette e lo yogurt alla frutta. Andavamo il sabato a fare la spesa dai contadini e poi al supermarket e io mi divertivo tanto e Jacopo sapeva come si cucinavano le cose. Alla Coop compravamo le cozze e degli altri pesci poi cucinavamo e delle cose le surgelavamo. Quest’estate ha messo nel freezer tante cose che io posso mangiare quast’inverno ma non le voglio mangiare se no finiscono, mi piace guardare nel freezer e vedere quei mangiarini. Così piango al supermercato, tutte le cose che mi viene da comprare sono le cose che piacciono a Jacopo. A mangiarle adesso mi viene solo la tristezza e non mi ricordo cosa mangiavo prima davvero così arrivo alle casse dopo tanto tempo che ho sentito le canzoni e visto le persone e il carrello è vuoto le cose che mangiavo prime non le compro perché mi sembra che Jacopo mi rimproveri e quelle buone che ho imparato a mangiare non le compro perché so che poi a casa non le mangio perché mi sembra così ancora più evidente che lui non c’è che è partito e deve passare tutto l’anno e cambiare tutte le verdure. Penso di andare a mangiarte fuori come ho fatto tante volte prima di conoscere Jacopo e poi non ho il coraggio, penso domani faccio la spesa giro intorno ai reparti al supermercato e rimango lì parlo a voce alta visto che non posso parlare con Jacopo spingo il carrello come facciamo sempre che lo spingo io ma non so neanche le direzioni guardo cosa comprano gli altri e di tutto mi immagino di mangiarlo e sento cosa mi dice lo stomaco non mi piace niente.

qui.accanto / 25

Ci facciamo tante foto nei posti dove andiamo mentre ci baciamo, quasi sempre guardando l’obbiettivo. La prima serie è in un autogrill. Jacopo non voleva. Si vergognava. Mi diceva: -E se ti riconoscono?-. Sono un sollievo. Le abbiamo copiate da Nina e Marguerite. Marguerite aveva tante foto. In casa dei suoi c’erano le foto nelle cornici. C’erano quegli album di plastica con le foto messe nella pellicola trasparente. In casa dei miei tutte le foto stavano in un mobile, tutte mischiate. Non le diapo, tutte ordinate nei caricatori grigi, fuori scritto in caratteri piccoli “Scozia”, “Corsica”, “Figli”. Io non ho mai avuto delle foto delle persone in giro per casa e mai una foto in una cornice appoggiata su un tavolo. Mi avevano fatto pensare che fosse una cosa volgare. Jacopo ed io guardammo quelle foto di baci e ne siamo stati gelosi. Adesso le facciamo sempre. Con queste piccole macchinette. Con Agostino abbiamo una sola fotografia, mentre saliamo le scale di una casa a Bologna. I primissimi tempi. Poi più nessun’altra.