Archivio per memoria

qui.accanto / 32

Allo stagista molte fotografie sono sfuggite. Ho tenuto i libri di narrativa, e ne sono zeppi. Nessuna mi sorprende. Mi diverte trovarle, non dovrebbero essere qua, mi sembra di averle rubate. Sono provini, stampe come appunti. Jacopo mi rimprovera. Tutti questi mesi di fronte senza di lui potrò tirarle fuori, il pensiero mi eccita per un momento, e ne sorrido, sono allegro: voglio aprire tutti i libri! Ne ho tirate fuori un po’ e qualcuna sì, so più o meno cosa sono, ma la maggior parte non ho idea. Abbastanza con certezza attribuisco ad un momento che mi pare esatto le prime e sicuramente le ultime. Me l’hanno detto così tante volte che l’ho imparato. Il fidanzamento con Jacopo è il mio spartiacque. Prima, dopo, tot anni. Ma tutto il prima si confonde sotto la grande etichetta “prima”. Lo stagista sapeva. Dove sono questi posti? Come ci arrivai? Da solo posso provare a guardare una singola fotografia a lungo, la esploro con gli occhi, e insieme i miei occhi vanno in esplorazione nel cervello in cerca di indizi. Alla fine per qualcuna ce la faccio. È come mi immagino sia fiocinare un pesce. Ho imparato che non sempre ho ragione. I libri in cui sono restano gli indizi più affidabili, mi gingillo con questa idea. Ma le fotografie sono state messe da me nei libri allo scopo di farmele trovare per caso. Per una fiducia implacabile che tutto sarebbe stato ricordato. Mi immaginavo ora che le trovo, quando le nascondevo. Potrei farlo ancora. Anche se mi scontro con l’opposta dimostrazione quotidiana, che mi viene fatta dalle persone, dalle cose, io sono certo di ricordare tutto. Non oso più toglierle però dai loro libri. Invece Camilla saprebbe, Marguerite saprebbe.

qui.accanto / 17

La partenza di Jacopo ha coinciso con quel momento strano in cui le giornate che avevano cominciato dall’inizio dell’estate ad accorciarsi sembrano perdere di colpo più di un’ora, e ritrarsi nel pomeriggio. Vorrei andare a dormire alle nove. Il buio fuori dalle finestre sembra entrare in casa. Fa più silenzio presto, gli uccelli tacciono col tramonto. Odio il buio. Fotografavo con le pellicole a 1600 ASA. Oppure le 400 che facevo tirare a 1600. La frase mi è familiare ma non sono più certo della sua esattezza. Questo è un buio strano che mi dà le vertigini. Non so a cosa attaccarmi per ricordare. Non importa. E’ un’informazione che non mi serve. Passo subito oltre. Per sfuggire a quel senso di vertigine che fa del buio il vuoto. Ho sempre avuto paura del buio. E ho sempre avuto paura del vuoto. La macchina fotografica era la mia lancia in resta!

qui accanto / 16

Se neanche lo Zolpidem mi fa dormire torno nelle vecchie case. E’ spesso la casa dove sono nato. E’ un esercizio che posso fare soltanto quando sono solo. Se no sono distratto. Non ci faccio attenzione ma andare a dormire segue un rituale che è sempre più composito. Delle poche cose che non dimentico di fare c’è prendere il sonnifero. Tutto il cerchio concluso, spogliato, lavato, chiuso casa, sollevo le coperte per entrare nel letto e quando queste si posano le risollevo e scendo perché mi ricordo del sonnifero. Non so se mi sono mai davvero dimenticato. Leggo, mentre le coperte e il piumino concludono la loro lenta discesa dopo il respiro che gli ho imposto. Chiudo la luce. Una volta dovevo chiudere gli occhi nello stesso momento, pena l’insonnia certa, ora che Jacopo è via li tengo ancora aperti il tempo di vedere illuminarsi una piccola paperella fosforescente che mi ha regalato, la saluto, poi chiudo le palpebre molto molto lentamente, che la paperella sparisce nel buio. Lo Zolpidem agisce e di solito mi addormento subito. Se non succede mi metto a girare per le vecchie case. Stanza per stanza, mobile per mobile, oggetto per oggetto.